martedì 27 novembre 2012

30TFF - Maniac

Locandina Maniac del Festival di Cannes

Torino Film Festival, atto secondo. E questa volta non è una romantica storia d’amore che ha posto fine alla nostra serata. Dopo un giallo firmato Joseph Losey (nella sala più fredda e vuota del cinema), ad aspettarci c’era Maniac, l’ultima fatica del regista Franck Khalfoun, che fu già presentato al Festival di Cannes questo stesso maggio provocando un'ambivalente reazione da parte di pubblico e critica.
Remake dell’omonima pellicola di William Lustig del 1980 (con quello che la brochure del Torino Film Festival definisce “il laido e indimenticato Joe Spinell”), per Maniac le aspettative erano molto alte: sarà perché nel cast figura Elijah Wood, il Frodo dagli occhioni azzurri e il viso d’angelo che veste i panni del protagonista. O sarà perché la sceneggiatura porta la firma di Alexandre Aja, autore del celebre Le colline hanno gli occhi e del meno celebre Riflessi di paura. 
Maniac è il dramma psicologico di un uomo disturbato, con un latente complesso edipico e un ossessivo desiderio di uccidere. Le sue vittime sono tutte donne bellissime e indifese, che ammazza barbaramente e di cui si tiene le scalpo, per acconciare con quello inquietanti manichini. Frank vive così, nella periferia degradata di New York, circondato da macabre silhouettes inanimate che tratta come fossero persone vere. Vive così, finché non arriva Anna. 


Nora Arnezeder (Anna) in una scena del film
L’arrivo di Anna è una boccata d’aria fresca nel suo universo malato e morboso: i due si incontrano, si frequentano, diventano amici. Ma la nevrosi psicotica di cui Frank è preda non trova spazio per un’happy ending (lieto fine a cui Frank però aspira nel profondo, come commenta dopo la visione del Gabinetto del Dottor Caligari), e la pellicola precipita vorticosamente verso un epilogo tragicamente già scritto. Lo spettatore se lo aspetta, perché è letteralmente nella mente di Frank. Il film è vissuto pressoché completamente in soggettiva (fatta eccezione per le scene in cui Frank si aliena da sé e si guarda dall’esterno), e l’immedesimazione con il protagonista diventa quindi totale. Se ne avverte il respiro, si percepiscono le sue emozioni, si vede quello che lui vede. La sua psicosi viene interiorizzata dallo spettatore stesso che, complice una colonna sonora disturbante e immagini a tratti offuscate e confuse, assorbe quasi il dolore di Frank e ne comprende la ragione senza però arrivare a giustificarlo.
Quello di Khalfoun è un esercizio di stile condotto con discreta maestria e precisione (anche se un paio di volte la camera abbandona la prospettiva senza motivo apparente), che non annoia né stanca il pubblico ma rende più sostenibile la soggettiva calibrando con accortezza i momenti in cui, di quell’assassino, finalmente si scopre il volto. Frank si vede riflesso negli specchi, nei vetri delle auto, nelle fotografie di Anna, e l’immagine impaurita che proietta fa a pugni con l’omicida spietato in cui troppo spesso si trasforma.
  
Il film non è di facile visione. Se non amate sangue e scene eccessivamente cruente (e qui sono particolarmente dettagliate), c’è il rischio che passiate un quarto del tempo con le mani sugli occhi. Ma è una pellicola che merita comunque di essere vista, se non altro per la pregevole realizzazione formale. 

Vi lascio con il trailer. "Enjoy"!


  

1 commento:

  1. in effetti sembra un film abbastanza disturbante.
    diciamo che gli amanti del genere lo apprezzeranno.
    da quel poco che ho visto nel trailer mi è sembrato di vedere un rimando a trame psicologiche della saga di hannibal lecter o psyco. insomma l'indagine introspettiva nella testa di un killer sanguinario..
    gran bella recensione!
    Bacio!!

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