Altro giro, altra corsa, altra
folla. Questa volta era quella ancora più interminabile per All is lost, la più recente fatica di
mister J.C. Chandor. Premessa n°
1: a me, mister Chandor, garba non poco. Il suo debutto sul grande schermo
fu nel 2011 con il sottovalutato Margin
Call, un appassionante thriller sulla crisi economica americana, la cui
sottoscritta ha non solo apprezzato, nonostante la presenza del Danny di Gossip
Girl (WTF?) tra il cast, ma addirittura capito. Ci tenevo particolarmente
quindi a vedere questo film, seconda produzione di un giovane regista
ingiustamente trascurato. Premessa n° 2: la disposizione d’animo con cui
sono entrata in sala probabilmente ha penalizzato la prima parte della visione,
che ci ha messo un po’ a convincermi. Ma chi può darmi torto? Mi metto in fila
con tre quarti d’ora d’anticipo, sono in pole
position, occhi negli occhi col tamarro che strappa i biglietti, già
pregusto la poltrona più centrale della sala e…mio fratello, accompagnatore d’occasione
nonché possessore dei biglietti, arriva in vergognoso ritardo dopo aver cercato
posteggio per mezz’ora, perché sia mai di spendere soldi e lasciare l’auto nel
parcheggio sotterraneo. Bene. Ciao poltrona super centrale e ciao primo posto
in coda, benvenuto unico spazio libero alla sinistra più sinistra della sala.
Si può affrontare in questo modo la visione di All is lost? No, infatti.
Ecco,
forse è meglio spendere due parole su che
cos’è esattamente All is lost.
All is lost (a cui i pubblicitari
italiani hanno aggiunto l’astuto sottotitolo Tutto è perduto), è sostanzialmente una sfida: è una sfida per Chandor,
che nonostante l’embrionale esperienza si lancia in una delle prove più
difficili nella carriera di un regista; è una sfida per Redford, l’our man che da solo tiene le redini di
una vicenda che grava esclusivamente sulla sua fisicità; è una sfida per lo
spettatore, che per quasi due ore assiste impotente alle tragiche vicissitudini
del protagonista.
Esatto, All is lost è un one man show. E lo show
è quello emozionante di Robert Redford, taciturno padre di famiglia che da solo
s’imbarca per gli oceani e che proprio tra quelle acque rischia di morire.
Chandor non spende né tempo né parole in presentazioni, e introduce il
personaggio direttamente sulla barca, direttamente in mezzo al mare. Redford sta navigando indisturbato
tra le acque dell’Oceano Indiano, quando un container alla deriva urta la sua
imbarcazione e apre uno squarcio nello scafo. Il problema, prontamente risolto
dalla sua esperienza e abilità, è però solo il primo di una serie di tragici
incidenti che riducono gradualmente le sue possibilità di sopravvivenza, in un magistrale
climax di tensione che serpeggia palpabile tra il pubblico in sala. Redford non
parla, non parla mai, si lascia scappare una sola esclamazione disperata quando
la tensione è ormai quasi insopportabile, e con tenacia, caparbietà e
imperturbabilità affronta la sua personalissima lotta contro la natura.
Ecco, è proprio l’imperturbabilità del personaggio l’elemento che mi
ha sorpreso e poi convinto: mi aspettavo un Redford più “espressivo”, che non
potendo comunicare attraverso la voce rivelasse le proprie emozioni attraverso
il viso, e questa sua impassibilità, così paradossale visto il pericolo che
andava affrontando, non mi sembrava credibile né verosimile. Ma più la vicenda
procedeva, più la sua situazione diventava disperata e l’angoscia attraversava
la sala, ho visto in quell’imperturbabilità uno dei punti di forza del suo
personaggio e del film stesso: Redford è un solitario, salpa per l’oceano senza
compagnia e non parla, non esprime emozioni attraverso la voce e linearmente
con il suo personaggio non lo fa neanche per mezzo del volto. L’intera pellicola
si piega allora alla sua personalità: l’accompagnamento sonoro è centellinato e
destinato solo ai momenti più cruciali, le inquadrature sono asciutte e la
fotografia curata ma realistica.
Difficile tenere alto un ritmo scandito dagli eventi più che dai
dialoghi o dalle musiche, ma alla fine del film le luci si riaccendono e il
pubblico ci mette un po’ a tornare alla realtà.
Chandor vince la sfida.
A voi il trailer, ma non fatevi ingannare: quelle che sentite sono le uniche battute del film.
WOW! il primo film che mi è venuto in mente guardando il trailer è stato 127 ore con James Franco!
RispondiEliminaGrazie per recensione e trailer! mi ispira sto film!!