mercoledì 4 dicembre 2013

31TFF - All Is Lost

Altro giro, altra corsa, altra folla. Questa volta era quella ancora più interminabile per All is lost, la più recente fatica di mister J.C. Chandor. Premessa n° 1: a me, mister Chandor, garba non poco. Il suo debutto sul grande schermo fu nel 2011 con il sottovalutato Margin Call, un appassionante thriller sulla crisi economica americana, la cui sottoscritta ha non solo apprezzato, nonostante la presenza del Danny di Gossip Girl (WTF?) tra il cast, ma addirittura capito. Ci tenevo particolarmente quindi a vedere questo film, seconda produzione di un giovane regista ingiustamente trascurato. Premessa n° 2: la disposizione d’animo con cui sono entrata in sala probabilmente ha penalizzato la prima parte della visione, che ci ha messo un po’ a convincermi. Ma chi può darmi torto? Mi metto in fila con tre quarti d’ora d’anticipo, sono in pole position, occhi negli occhi col tamarro che strappa i biglietti, già pregusto la poltrona più centrale della sala e…mio fratello, accompagnatore d’occasione nonché possessore dei biglietti, arriva in vergognoso ritardo dopo aver cercato posteggio per mezz’ora, perché sia mai di spendere soldi e lasciare l’auto nel parcheggio sotterraneo. Bene. Ciao poltrona super centrale e ciao primo posto in coda, benvenuto unico spazio libero alla sinistra più sinistra della sala. Si può affrontare in questo modo la visione di All is lost? No, infatti. 

Ecco, forse è meglio spendere due parole su che cos’è esattamente All is lost.

All is lost (a cui i pubblicitari italiani hanno aggiunto l’astuto sottotitolo Tutto è perduto), è sostanzialmente una sfida: è una sfida per Chandor, che nonostante l’embrionale esperienza si lancia in una delle prove più difficili nella carriera di un regista; è una sfida per Redford, l’our man che da solo tiene le redini di una vicenda che grava esclusivamente sulla sua fisicità; è una sfida per lo spettatore, che per quasi due ore assiste impotente alle tragiche vicissitudini del protagonista.  
Esatto, All is lost è un one man show. E lo show è quello emozionante di Robert Redford, taciturno padre di famiglia che da solo s’imbarca per gli oceani e che proprio tra quelle acque rischia di morire.
Chandor non spende né tempo né parole in presentazioni, e introduce il personaggio direttamente sulla barca, direttamente in mezzo al mare. Redford sta navigando indisturbato tra le acque dell’Oceano Indiano, quando un container alla deriva urta la sua imbarcazione e apre uno squarcio nello scafo. Il problema, prontamente risolto dalla sua esperienza e abilità, è però solo il primo di una serie di tragici incidenti che riducono gradualmente le sue possibilità di sopravvivenza, in un magistrale climax di tensione che serpeggia palpabile tra il pubblico in sala. Redford non parla, non parla mai, si lascia scappare una sola esclamazione disperata quando la tensione è ormai quasi insopportabile, e con tenacia, caparbietà e imperturbabilità affronta la sua personalissima lotta contro la natura. 


Sta arrivando una tempesta...

Ecco, è proprio l’imperturbabilità del personaggio l’elemento che mi ha sorpreso e poi convinto: mi aspettavo un Redford più “espressivo”, che non potendo comunicare attraverso la voce rivelasse le proprie emozioni attraverso il viso, e questa sua impassibilità, così paradossale visto il pericolo che andava affrontando, non mi sembrava credibile né verosimile. Ma più la vicenda procedeva, più la sua situazione diventava disperata e l’angoscia attraversava la sala, ho visto in quell’imperturbabilità uno dei punti di forza del suo personaggio e del film stesso: Redford è un solitario, salpa per l’oceano senza compagnia e non parla, non esprime emozioni attraverso la voce e linearmente con il suo personaggio non lo fa neanche per mezzo del volto. L’intera pellicola si piega allora alla sua personalità: l’accompagnamento sonoro è centellinato e destinato solo ai momenti più cruciali, le inquadrature sono asciutte e la fotografia curata ma realistica.
Difficile tenere alto un ritmo scandito dagli eventi più che dai dialoghi o dalle musiche, ma alla fine del film le luci si riaccendono e il pubblico ci mette un po’ a tornare alla realtà. 
Chandor vince la sfida.

A voi il trailer, ma non fatevi ingannare: quelle che sentite sono le uniche battute del film.


1 commento:

  1. WOW! il primo film che mi è venuto in mente guardando il trailer è stato 127 ore con James Franco!
    Grazie per recensione e trailer! mi ispira sto film!!

    RispondiElimina